Via Pralungo, San Donà, poco più in là c’è via Balliana.
Non si sa come sia arrivato lì, ma quel posto gli piaceva.
Se ne stava lì sul ciglio della strada, incurante delle auto che passavano, rumorose. Lui era silenzioso, i piedi piantati su quella poca terra contesa all’asfalto, come radici nodose. Le gambe lunghe, robuste, appaiate a formare un tutt’uno, il tronco e il capo protesi in avanti.
Si piegava verso il sole, rizzava i capelli e intrecciava la folta chioma, fluente, a formare un ombrello. Se ne stava lì e nelle calde giornate d’estate ci potevi sostare, ed avere un po’ di refrigerio.
Un giorno si presentarono per la via dei tipi eleganti e, con aria di chi la sa lunga, cominciarono a dire: "lì la nuova porta, qui la stazione, di qua questo, di là quest’altro".
Un giorno si presentarono per la via dei tipi eleganti e, con aria di chi la sa lunga, cominciarono a dire: "lì la nuova porta, qui la stazione, di qua questo, di là quest’altro". Quando giunsero in prossimità di Cedro, lo squadrarono per bene e lo apostrofarono: "ehi tu, devi andare via!"
"Devo andare via? Ma io qui sto bene e non saprei dove altro andare", rispose Cedro con quel filo di voce di cui era capace. Poi, con il suo filo di voce, aggiunse: "Non posso esserci anch’io nel vostro progetto? C’è spazio a sufficienza, mi pare, per le tante cose nuove che avete intenzione di fare, ed anche per me. Mi basta solo questo fazzoletto di terra, non chiedo altro".
Quelli si guardarono l’un l’altro indispettiti: "Che hai capito! Quello che si farà qui non c’entra per niente! Te ne devi andare perché sei uno di strada e i tipi di strada come te non possono stare qui. Il luogo in cui ti trovi non è tuo, è nostro. E poi guardati, sei un vecchio gigante ed intralci la via, e sei anche malato. Finora abbiamo tollerato, ma ora basta."
Cedro tremò di paura a quelle parole, ma non si mosse.
Quelli aspettarono un po’ e, visto che non si muoveva, "non è finita qui" dissero, e se ne andarono via.
Il suo amico Pino, benché dal luogo lontano in cui stava, aveva visto e sentito tutto e cercò di rincuorarlo dicendo: "Stai tranquillo amico, non ti faranno niente, vedrai, non possono."
E intanto che parlava, trasse dalla sua borsa voluminosa un carteggio.
"Questo è il regolamento del verde" affermò "e dice che anche i tipi di strada come noi hanno dei diritti, che diamine! Almeno fin che siamo in salute nessuno può farci nulla e, perdiana, tu scoppi di salute!"
Fece un lungo sospiro, poi esclamò: "Vattene subito, amico! Scappa!"
Ma Cedro si sentiva unito a quel pezzetto di terra nella buona come nella cattiva sorte. Benché preoccupato e triste, non se la sentiva di lasciare il luogo dove aveva affondato, a suo dire per sempre, le proprie radici. "Non arriveranno a tanto", sperava in cuor suo.
Passò del tempo e un po’ alla volta Cedro si era rasserenato, complici anche gli abituali giochi dei bimbi che, passando, non dimenticavano mai di fermarsi a salutarlo e chiacchierare con lui.
Ma un giorno comparve nella via, crepitando e ringhiando, un grosso macchinario e tutti capirono.
Il makman, perché proprio di quello si trattava, si fermò non molto lontano da Cedro, mostrando i suoi denti diamantati, aguzzi come lame d’ascia. Senza perdere tempo lo apostrofò: "Ehi tu, come ti permetti di calpestare la terra dove io mi trovo!" "Come posso calpestare la terra dove ci stai tu, se io mi trovo dall’altro lato della strada?"
Il makman, irritato dalla risposta di Cedro e schiumando di rabbia, sibilò: "Tu, ti hanno sentito che hai parlato male di me!" "Come potevo parlare male di te se è la prima volta che ti vedo!" rispose Cedro. E il makman di rimando: "Se non sei stato tu, sono stati di certo i tuoi parenti."
Detto questo attraversò di corsa la strada, avventandosi su Cedro.
In breve tempo lo dilaniò con i suoi denti diamantati.
Non restò nulla di Cedro, nemmeno il suo ceppo, che testimoniasse di lui e della sua presenza nei secoli.